Intervento Nino Falotico – 5° Assemblea Nazionale

INTERVENTO DI NINO FALOTICO

PRESIDENTE CRU UNIPOL – BASILICATA

 

Care amiche, cari amici,

parto con una citazione di un grande intellettuale che ben si attaglia al nostro dibattito sul tema del mutualismo nella società del rischio.

“Ci troviamo nel mezzo di uno sviluppo sociale in cui l’attesa dell’inaspettato, l’attesa dei rischi possibili domina sempre più la scena della nostra vita: rischi individuali e rischi collettivi. È il fenomeno nuovo che diventa un fattore di stress per le istituzioni nel diritto, nell’economia, nel sistema politico e anche nella vita quotidiana delle famiglie”.

Così spiegava in un’intervista l’idea di società del rischio il sociologo tedesco Ulrich Bech, recentemente scomparso, cui si deve a metà degli anni ’80 una fondamentale e visionaria riflessione sul carattere profondo della società post industriale, società che egli definì, appunto, del rischio. Perché del rischio?

Lo vediamo oggi nel nostro operare quotidiano di sindacalisti. Il rischio, l’indeterminato, l’imprevedibile sono la costante dominante della società contemporanea. La globalizzazione ha messo in crisi lo Stato nazionale come spazio geografico di riferimento e, con esso, l’intera architettura sociale e istituzionale - si pensi al welfare state - che nello Stato trovava il suo punto di equilibrio e di compensazione dei conflitti, nonché di distribuzione delle prestazioni.

Tutto è diventato imprevedibile, e questo ha determinato e determina tutt’ora disorientamento, angoscia, paura, mettendo a dura prova la coesione sociale e la tenuta democratica.

Cos’è, ad esempio, la precarietà del lavoro se non un’espressione di questo rischio strisciante? Cos’è il populismo se non la manifestazione sul terreno politico di una società che cerca protezione dall’imponderabile e si rifugia nelle alchimie dei demagoghi. E si potrebbero fare molti altri esempi.

Dobbiamo, dunque, rassegnarci al rischio permanente?

Ovviamente no. Al contrario, dobbiamo cogliere la sfida della nuova modernità per coltivare nuovi modelli di governance per mutualizzare il rischio e rafforzare la coesione sociale delle comunità adoperando gli strumenti che la stessa modernità ci mette a disposizione.

Serve insomma un nuovo mutualismo nella società del rischio per rafforzare la comunità come luogo della cittadinanza.

È una sfida che ci riguarda tutti, sindacati e associazioni imprenditoriali, e che di tutti reclama il contributo.

Io credo che si debba procedere in due direzioni: 1) un nuovo modello di cooperazione tra capitale e lavoro; 2) nuovi strumenti di inclusione sociale.

Storicamente la Cisl considera l’impresa non già il luogo del conflitto permanente ma il luogo del dialogo possibile e della convergenza tra gli interessi dei lavoratori e quelli dell’impresa, dove le fasi temporanee di conflitto sono funzionali al raggiungimento di specifici obiettivi riformistici.

È noto che il lavoro non esiste allo stato puro in natura, ma è un derivato delle attività produttive. Per questo imprese più competitive significano più opportunità di lavoro e più benessere per le comunità.

Costruire attraverso gli strumenti contrattuali un nuovo modello di cooperazione tra capitale e lavoro significa dare corpo a quella lungimirante idea della democrazia economica in cui i lavoratori partecipano al destino della propria impresa, influenzandone significativamente la strategia.

Un nuovo rapporto tra capitale e lavoro significa confrontarsi per un più moderno sistema di relazioni industriali, dove la produttività sia distribuita sempre meno con la logica erga omnes e sempre più lì dove si crea effettivamente, evitando di confondere tra produttività e redditività. Va in questa direzione l’accordo raggiunto da Cgil Cisl Uil sul rinnovo del modello contrattuale.

In Italia siamo ancora lontani da questo modello cooperativo per ragioni di ordine storico e culturale, ma questo non vuol dire che non si possano ottenere importanti avanzamenti sul terreno della contrattazione aziendale e della bilateralità.

Serve un cambiamento di paradigma culturale nelle relazioni industriali, dunque, ma serve anche un nuovo modello di welfare state che risponda alle esigenze dell’oggi, alle esigenze di una società in cui rispetto al passato è più alto il rischio di restare soli e finire risucchiati nella trappola della povertà e dell’emarginazione sociale.

Mi riferisco, in particolare, alle migliaia di lavoratori espulsi dai cicli produttivi e che sono destinati per ragioni anagrafiche a non rientrare in azienda.

Che fare per restituire alla piena cittadinanza queste persone?

La recessione economica di questi anni ha messo a nudo le deficienze di un welfare state tarato sulla società industriale del ‘900, relativamente stabile e standardizzato, e che perciò si è dimostrato del tutto inadeguato ai bisogni di protezione che sono propri di una società del rischio.

Ecco perché ritengo non più differibile immaginare nuovi strumenti di inclusione sociale fondati sui principi di bilateralità, sussidiarietà e auto-organizzazione sociale in grado di affiancare e potenziare le prestazioni di base universalistiche del welfare state.

Proprio il welfare contrattuale è una delle frontiere più avanzate delle relazioni industriali, ma occorre intensificare gli sforzi per diffondere la pratica contrattuale nelle piccole e medie aziende.

In Basilicata, anche su sollecitazione del sindacato, sta partendo la sperimentazione del reddito minimo di inserimento, un’innovativa misura che unisce sostegno economico ad una proporzionata prestazione lavorativa, misura che serve ad attraversare la lunga notte della crisi.

Non si tratta di una mera operazione caritatevole ma di una concreta opportunità per chi ha perso il lavoro e non ha altre forme di sostegno al reddito per rimettersi in gioco.

Non è nemmeno la panacea, nella consapevolezza che solo una politica di sostegno alle piccole e medie imprese - attraverso un meccanismo di convenienze localizzative - può nel medio e lungo periodo restituire alla piena cittadinanza chi oggi vive ai margini del mercato del lavoro.

Edificare un nuovo mutualismo nella società del rischio, in conclusione, significa ripensare l’impresa come luogo della cooperazione tra capitale e lavoro e la comunità come luogo della cittadinanza; luoghi in cui si possa esplicare la personalità dell’individuo nella sua autonomia di soggetto libero e responsabile.

Tocca a noi profondere ogni sforzo per edificare quella che un grande intellettuale cattolico del secondo dopo guerra, Giuseppe Lazzati, definì “la città dell’uomo costruita a misura d’uomo”.

Grazie a tutti.


Intervento Massimo Biagioni - 5° Assemblea Nazionale

INTERVENTO DI MASSIMO BIAGIONI

DIRETTORE CONFESERCENTI TOSCANA

PRESIDENTE CRU UNIPOL - TOSCANA

 

Ringrazio Unipol per l’opportunità che ci offre di un confronto significativo.

Proprio perché significativo, leggo per non prendere troppo tempo condensando una serie di questioni importanti per noi nella prospettiva “territorio”, tema in cui mi devo attenere.
Abbiamo capito subito la direzione: la versione “Benuzzi 2.0” che si muove a suo agio tra hastag e inglese è il segno inconfondibile di un mondo che cambia si adegua e si cimenta nel guidare la crescita!
Questa assemblea anticipa la nuova stagione delle Convenzioni e la fase della fusione in un unico marchio, con un numero straordinario di attori che agiranno nel medesimo palcoscenico.
L’ampliamento e la messa a regime di tutti questi rivoli che confluiranno in un unico grande canale, renderà inevitabilmente “contraddittorio” il senso dei CRU, il loro ruolo nei confronti del complesso delle agenzie, il ruolo delle tradizionali organizzazioni socie; si dovrà arrivare a una realtà diversa segnata dal mercato in generale, e quindi al rapporto con altri interlocutori, altri enti, altre associazioni, oggettivamente competitor di noi, le sette realtà “tipiche e igp”.
Da anni lavoriamo per tessere una collaborazione sempre più fattiva, ma bisogna dire che i rapporti sono stati anche difficili, con contraddizioni e disinteresse reciproci, con forzature unilaterali, anche incomprensibili, e con l’emersione sorprendente di decisioni che non hanno aiutato.
Il rapporto è rimasto saldo, puntando a realizzare nel CRU una camera di compensazione dove far confrontare domanda e offerta, diciamo così, tra portatori di interessi e compagnia, per giungere a soddisfazione e utilità reciproca.
Questo cammino ha incontrato sottovalutazioni e superficialità sgradevoli, come apprendere che per i dipendenti Unipol Banca sono state versate risorse a un fondo interprofessionale di altre organizzazioni non socie, così come non ha aiutato l’esistenza di Convenzioni locali (dalla Croce Rossa di Greve alla famigerata ALE) con contenuti assai migliorativi rispetto a quelle stabilite per i nostri soci, che si sono trovati penalizzati, così come non ha aiutato la soluzione di questioni di dettaglio, ma importanti per chi ha necessità, come balneari, edicole, agenti immobiliari), nonostante la disponibilità che il nostro riferimento diretto non ha mai fatto mancare, anzi, intervenendo direttamente laddove era possibile.
Non hanno aiutato soprattutto chi si era spinto più avanti, cioè chi crede e credeva nei CRU. Vi chiederei maggiore attenzione nei nostri confronti.
Non possiamo essere così fuori dal mondo per non pensare che nel processo di ampliamento non ci possano essere fibrillazioni e difficoltà, però la domanda di cosa significherà il rapporto con le organizzazioni socie e quali condizioni ci saranno, credo sia legittima.
Del resto l’espansione è missione prioritaria per un grande gruppo come questo, destinato come ovvio a subire la concorrenza da parte di piccoli ma agili incursori che cercheranno di intercettare qualche spazio.
Sono consapevole fino al punto di aver contribuito a favorire rapporti positivi con soggetti regionali (con cui sarà possibile siglare un accordo al rinnovo delle convenzioni) e con opinion leader, cercando di svolgere la funzione CRU a cui sono stato designato.
Ma resta quell’interrogativo: lavoreremo per il Re di Prussia?
Il vento non si ferma con le mani; magari ricordarsi di tutta la strada che abbiamo fatto insieme male non farebbe, evitando di guardare solo gli ultimi due passaggi che hanno portato al gol, ma seguendo l’azione fin dall’inizio.
Le organizzazioni socie devono dimostrare di essere un valore aggiunto e di veicolare verso gli obiettivi condivisi quote della propria rappresentanza, ragionando sui risultati di raggiunti. Però occorre dotarsi di strumenti di lettura sobri e seri, altrimenti si possono fornire al gruppo dirigente fotografie sbagliate.
Lo scorso anno la rappresentanza complessiva di Confesercenti, CIA e CNA fu conteggiata in novemila posizioni. Fosse così consiglierei di chiuderle queste convenzioni nazionali, altrimenti rischiate di non riprendere nemmeno i soldi dei rimborsi spese di una riunione. Non saprei dire il motivo tecnico, ma il ragionamento non torna.
Dicevo dell’espansione nel mercato, la crescita e la potenzialità della rete.
Ciò vale doppio, pensando a questo gruppo Unipol “extralarge”, che ha inglobato la forza di un “marchio” di grande appeal come Fondiaria, che neanche la dissennata gestione precedente è riuscita a sporcare. Un marchio che mentalmente persiste nel tessuto culturale oltreché economico e la cui acquisizione è merito di questo gruppo, che ha salvato posti di lavoro, professionalità, redditi, economie e la cui rete non aspetta che di ritrovare nuova energia, prospettiva e una salda direzione.
Questo in Toscana e principalmente a Firenze, significa tante cose, un passato importante, una certa imprenditoria di livello, servizi di qualità, un sacco di risorse e opportunità.
Naturalmente sarà Unipol a decidere che fare, se giocare una certa partita, quali aspetti valorizzare, se considerare Firenze una piazza strategica.
La realtà parla da sola: Unipol in una delle città più significative del mondo rappresenta una importante quota immobiliare, di pregio e di valore. Proviamo a pensare il riverbero che potrebbe esserci nel centro storico, per quanto riguarda la residenza, la ricettività, i negozi, le realtà convegnistiche.
Ha ereditato strutture sanitarie che sono state un valore aggiunto, un anello che collegava molti interessi. Se non rientrano nella missione ci auguriamo che si possa trarre da quell’esperienza valore aggiunto per le politiche sociali e sanitarie a cui giustamente Unipol sta riservando tanta attenzione, evitando il rischio di depauperamento di una ricchezza della città. Anche perché il rapporto pubblico- privato qui richiamato, potrebbe trovare nella Regione, nuove orecchie interessate.
Analogamente è cruciale il ruolo di Unipol nella vicenda Comune-Fiorentina per quanto riguarda lo stadio. Oltre alle passioni, si parla dell’ultima parte di territorio di sviluppo possibile di Firenze, con annesso le implicazioni dell’Aeroporto e del Centro del Mercato.
La Confesercenti che c’entra.
Sapere la direzione, capire la disponibilità, poter contare su Unipol che ha una certa idea sul nuovo insediamento può rivelarsi non secondario per le nostre imprese e per l'intera città. Sempre che dalle parole si arrivi a qualche proposta chiara che tutti aspettano (e non da Unipol).
Si aprono un sacco di varianti, dunque.
Con il CRU abbiamo realizzato numerose iniziative che comunque hanno aggiunto un granellino al lustro del marchio.
La nuova e più estesa rete bisognerebbe fosse coinvolgente, efficiente, efficace e affamata. In grado di essere un pungolo anche per noi. Il passato non deve servire a recriminare, ma a trarre esperienze per costruire e risolvere, se ci sono stati, e ci sono stati, incagli.
Rafforzare le convenzioni “che abbiano un senso”, siglate certo in un quadro nazionale, ma rinviando al livello regionale i contenuti, e al territorio la messa in pratica, territorio dove ogni giorno si misurano necessità e opportunità di imprese e mondo del lavoro. Cominciando a distinguere, e investendo su chi porta risultati, oltre le firme, tra i diversi soggetti, e al loro interno.
Evitare infine che il margine di discrezionalità aziendale e della agenzie, che il mercato solleciterà, possa creare spiacevoli situazioni tipo di un socio che si trovi ad avere una stessa proposta dalla stessa sigla con prezzi diversi. Perché non sarebbe semplice a spiegare.
Come associazione confermiamo la disponibilità a fare la nostra parte, a svolgere un ruolo attivo e improntato allo sviluppo. Prova ne è la presenza in Assicoop che si è irrobustita con l'ingresso dell'associazione di Firenze, e il tentativo di creare forme di collaborazione con la rete degli agenti, con i presupposti citati da Benuzzi nell'intervento: una prospettiva generale condivisa; una sede di confronto vera e non rituale; strumenti adeguati di informazione e di coinvolgimento.
Noi a Firenze e in Toscana ci candidiamo ad essere un banco di prova di questo, con l'impegno a farlo diventare significativo.


Intervento Claudio Cinti - 5° Assemblea Nazionale

INTERVENTO DI CLAUDIO CINTI
PRESIDENTE DEL CRU UNIPOL – FRIULI VENEZIA GIULIA

Un cordiale saluto a tutti i presenti a titolo personale e da parte dei componenti del CRU del FRIULI VENEZIA GIULIA che presiedo da alcuni anni.
La parola chiave da sviluppare in questa Assemblea, che ci è stata affidata, nell’ambito di una nuova relazione fra Organizzazioni e Unipol è “OPPORTUNITA’”.

In pratica si riferisce a quali opportunità concrete si possono generare dall’insieme della rete globale e virtuale e dalle reti delle persone che fanno parte del mondo Unipol o con il mondo Unipol interagiscono, dalle Organizzazioni sindacali, alle Organizzazioni delle imprese, ai collaboratori, agli azionisti, ai clienti, ai fornitori, alle istituzioni, e, più in generale alla società.

In questi ultimi anni lo scenario di riferimento socio economico è profondamente mutato, il gruppo Unipol si è ingrandito, vi sono state importanti fusioni nel mondo della cooperazione, il mondo del lavoro e delle imprese si è notevolmente modificato.

Quanto è accaduto necessità di una profonda riflessione sul modello di sviluppo del Gruppo Unipol, che inevitabilmente si trasforma, estendendo le relazioni verso le grandi imprese pubbliche e private, la Pubblica amministrazione e il mondo delle professioni intellettuali, senza però dimenticare i valori fondanti e i due pilastri importanti della Mutualità e del rapporto positivo di scambio con le grandi Organizzazioni dei lavoratori e con le imprese e le cooperative.

E in questo contesto i CRU possono diventare una fonte di confronto e di proposta, interagendo con Unipol e tra di loro per socializzare le informazioni, sviluppare le idee e per formare gruppi di lavoro sperimentali su obiettivi condivisi.
Nasce “L’opportunità” appunto di sviluppare iniziative concrete che si fanno sui territori e le attività che le persone svolgono per rispondere ai nuovi bisogni emergenti.
Ciò presuppone un’attenta analisi del come veicolare le informazioni, di che tipo di informazioni dare e che risultati ottenere.
La costruzione di una rete tra Unipol, stake holders e CRU che socializzi le informazioni, sviluppi dei progetti, il monitoraggio dei progetti stessi e fornisca, se necessario, gli strumenti per operare meglio.

Naturalmente non intendo la costituzione di una rete solamente informatica, ma un qualcosa di più articolato, che cercherò brevemente di sintetizzare.

Il nesso tra centro e periferia o tra testa e territori è un anello che, se gestito in maniera intelligente, può dare una svolta al funzionamento di Unipol, al rapporto fra Unipol ed i suoi stake holders e quindi per questa strada alla nostra capacità, quella dei CRU, di stare sui territori.
Significa certamente avere delle visioni comuni ma significa anche andare oltre alle visioni condivise infrastrutturando questo nesso.
Cosa serve per creare una struttura materiale o immateriale per questo nesso, quali strumenti?
Non ho risposte precise da darvi sul come fare, in questa fase, ma sviluppare questi concetti sul cosa fare, credo e spero serva da stimolo a tutta la platea per cogliere questa opportunità.
Qualunque sia la migliore cassetta degli attrezzi è necessario comunque passare da una gestione delle relazioni, basata principalmente su quelle umane, a una gestione di queste relazioni più scientifica, più solida, più strutturata per far circolare informazioni mirate in maggiore quantità e in migliore qualità dentro il territorio, tra gli stake holders che costituiscono i CRU e soprattutto tra i loro mondi di riferimento dal mondo del lavoro a quello delle imprese dentro ai territori, e ancor di più tra i CRU.
Vanno individuate una metodologia ed una sistematicità semplificate attraverso le quali operare.
Significa che ci conosciamo in apparenza ma non ci conosciamo, in realtà, in profondità.

Mi chiedo se esistono dei metodi per diventare da singoli, soggettività individuali regionali, a qualcosa che ci trasformi in dei gangli di una rete organizzata.

Mi rivolgo ai colleghi degli altri CRU per capire se solo noi sentiamo la necessità di un maggiore interscambio con gli altri territori o è un’esigenza comune.

Anche nel mondo sindacale dal quale provengo, la UIL, si sta realizzando un’esperienza analoga che produce risultati soddisfacenti attraverso la scelta di adottare un modello organizzativo di “sindacato a rete” per valorizzare le presenze della UIL nei luoghi di lavoro e rafforzarne l’insediamento sul territorio, un modello che mette al centro e dà risposte alla persona e valore all’iscritto.
Quali sono gli strumenti, quali sono i metodi con cui è possibile creare anche con i CRU un’Infrastruttura leggera che consenta ai territori di parlarsi, attraverso questi meccanismi, e non soltanto di esistere ma anche di comunicare e fare delle attività insieme?
Prima di tutto conoscersi ( non è solo un sito internet, dicevo ) al fine di estrarre delle informazioni, delle esperienze, estrarre delle attività da sperimentare in comune tra i territori.
Un’idea, anche ottima, non si realizza pienamente se non viene trasmessa in modo omogeneo a tutti i soggetti che fanno parte dell’organizzazione e non tutti la socializzano, la interiorizzano e lavorano per quell’idea.
Nessuno deve essere lasciato solo! Ed è assieme, con le nostre idee e con il nostro lavoro che, sono convinto, riusciremo a superare gli ostacoli che spesso si frappongono alla realizzazione di progetti validi, ostacoli che provengono dal mondo della politica, della finanza, dell’economia. Così facendo contribuiremo a realizzare un futuro ed una società più equa e sostenibile.


#nessunodasolo

Il 26 gennaio si è svolta Bologna la 5° Assemblea Nazionale dei CRU UNIPOL che ha avuto un'altissima partecipazione dei delegati provenienti da ogni parte d'Italia che hanno riempito il grande Auditorium UNIPOL. È stata una bella occasione di incontro per fare il punto su quello che CRU sta facendo e vuole fare nel 2016.

Grande successo ha avuto anche la componente social dell'evento, grazie all'attivazione del tweetwall che ha coinvolto gli ospiti in platea via twitter stimolandoli ad usare l’hashtag #nessunodasolo. A fine lavori, il tweetwall ha contato oltre 700 messaggi postati da tutta Italia.

Ecco una galleria con le foto della mattinata:

 


 

Rassegna stampa on-line

Blog Torino Nord-Ovest

Cisl Piemonte

Cisl Marche


Il saluto introduttivo di Aleardo Benuzzi, Responsabile Nazionale dei CRU Unipol

IL RUOLO SOCIALE DELL’ASSICURAZIONE

NESSUNO DEVE ESSERE LASCIATO SOLO” è lo slogan che abbiamo individuato per questa 5° Assemblea Nazionale dei CRU Unipol. Per il nostro gruppo assicurativo questo slogan vuole essere un modo per richiamare una volta di più il ruolo sociale dell’assicurazione.
Cosa intendiamo per ruolo sociale dell’assicurazione e come lo dobbiamo interpretare? Principalmente in 3 declinazioni:

  1. Partnership di soluzione
  2. Il mutualismo
  3. Le reti fisiche sui territori

1- Di fronte alle difficoltà attuali del sistema paese è necessario trovare nuove risposte di integrazione pubblico – privato. Faccio un esempio in campo sanitario perchè è di più immediata comprensione. Oggi, in campo socio-sanitario, l’integrazione pubblico-privato a cui solitamente si pensa è di carattere meramente esecutivo, “verticale” potremmo dire, cioè le prestazioni sono fornite ai cittadini o direttamente dalle strutture pubbliche o dalle strutture private convenzionate con il pubblico. In un sistema in cui la questione del controllo dei costi è fondamentale, sia per il pubblico che per il privato, il tema della partnership, a nostro avviso, necessariamente si colloca sul piano della progettazione complessiva di un servizio, divenendo così più “orizzontale”, con il risultato, tra l’altro, di definire in modo più trasparente il costo per i cittadini di una determinata prestazione.

In sostanza, in una partnership di soluzione diventa necessario, per il pubblico e il privato, coprogettare le modalità di erogazione di un determinato servizio.

Questa impostazione necessita di due requisiti imprescindibili:

A. Il pubblico detta le regole. Sul suo capo deve restare il compito di programmazione e di controllo, che non può e non deve essere delegato ad alcuno;
B. I privati chiamati a realizzare questo tipo di partnership debbono cercare un rapporto equilibrato fra la propria attività e la sostenibilità, incorporando quest’ultima nel proprio pensiero strategico e nelle conseguenti politiche aziendali. Sostenibilità intesa complessivamente in chiave economico-sociale e considerata nell’ ottica dell’insieme della società e del contesto in cui un’azienda opera.

2- Da questo primo livello elaborativo scaturisce la questione del mutualismo, inteso proprio come una possibile modalità per non lasciare nessuno da solo. Oggi, con l’attuale schema di sussidiarietà verticale, chi non è nella filiera del tradizionale assetto produttivo rischia di essere lasciato solo e quindi a noi pare necessaria l’attualizzazione di un principio antico, ma sempre valido nella sua accezione profonda: il mutualismo e l’autorganizzazione sociale.

3-Terzo livello del ragionamento: l’autorganizzazione sociale può trovare nelle reti fisiche sul territorio uno strumento di realizzazione oltre che di diffusione di soluzioni individuali accessibili, il cosiddetto terzo pilastro (anche così nessuno viene lasciato solo).

In sostanza, proponiamo:
- un pubblico forte e qualificato che scelga, programmi e controlli, un privato solido che, coprogettando con il pubblico, investa in soluzioni innovative;
- nella migliore tradizione del movimento cooperativo e mutualistico, una pratica di autorganizzazione sociale che superi in avanti la dicotomia di un pubblico che si ritira sempre più per problemi di disponibilità di risorse e di un privato costretto a soluzioni fai da te, quasi sempre penalizzanti per le persone singole, data la forte disparità di potere contrattuale e costosità delle soluzioni;
- infine, proponiamo che, sui territori, Unipol e le Organizzazioni del mondo del lavoro e delle imprese cerchino di tradurre questi orientamenti, se condivisi, in un rapporto solido e concreto.

Per Unipol questa visione è doppiamente impegnativa, per la matrice sociale da cui deriva e di cui è permeata e per il settore in cui opera, quello della sicurezza delle persone e delle imprese.

Questi sono gli aspetti di fondo che, a mio avviso, tengono insieme i tre filoni.

I CRU NELLA REALTA’ DELLA NUOVA IMPRESA
In un contesto così diverso i CRU non possono più essere, se mai siano stati solo questo, una sorta di comitati di propaganda per Unipol, ma sempre più dovranno rappresentare momenti e sedi nei quali rendiamo concreti e praticati i rispettivi punti di vista e i rapporti sul territorio, in chiave di collaborazione reciproca.
In poche parole una sede in cui facciamo mutualità di esperienze diverse.
In questo senso, proprio allo scopo di qualificare bene le relazioni e le reciproche opportunità nel nuovo contesto in cui tutti ci troviamo, anche in considerazione del ruolo che il gruppo è chiamato a svolgere nel sistema Italia, penso che sia opportuno aggiornare la nozione di mercato di riferimento, che è stata una caratteristica dello sviluppo di Unipol dagli anni 70 in poi.
Un modello di relazione basato sul concetto di stakeholder management a me pare risponda meglio alle rispettive esigenze.
Questa nuovo tratto delle nostre relazioni, a mio avviso, presuppone:

  • una prospettiva generale condivisa (che si rispecchia nelle iniziative sui territori)
  • sedi di confronto (i CRU, rinnovati e aggiornati, che mantengono tutta la loro attualità)
  • strumenti specifici adeguati di informazione e di circolazione delle idee e delle informazioni

In realtà, nell’attività sui territori, già da qualche tempo ci muoviamo secondo una logica di stakeholder engagement.
Dalla precedente assemblea abbiamo realizzato una serie di iniziative che, a mio avviso, vanno in questa direzione.

Nel corso del 2016 vorremmo ampliare e mettere a regime questo modello di relazione, attraverso una serie di ulteriori progetti, dai quali possa emergere il ruolo di Unipol come sostenitore di iniziative di sviluppo locale, individuate ed elaborate con le parti sociali e in collaborazione con le amministrazioni pubbliche, in particolare le Regioni.
Insomma, un vasto e differenziato lavoro di partenariato sui diversi territori.
Il lavoro messo in cantiere nelle regioni del sud potrebbe anche sfociare in un momento specifico di discussione sul meridione organizzato da tutti i CRU delle regioni meridionali.
L’obiettivo di stare a pieno titolo in Europa non può infatti riguardare solo una parte del nostro paese, ma deve comprendere tutta l’Italia, a maggior ragione se considerato dal punto di vista di una grande impresa nazionale.
Per concludere questa parte del mio intervento:
bilanciamento degli interessi, sostenibilità, responsabilità verso i territori, anche attraverso la partecipazione a questo insieme di iniziative; condivisione di punti di vista, idee e valori con il mondo che produce impresa e lavoro, secondo un’idea di sviluppo e di sostenibilità che guarda all’insieme delle comunità, delle Istituzioni e della società.
Per noi tutto questo rappresenta un profilo di azienda e un modo di stare sul mercato; per i CRU può rappresentare una modello partecipativo di relazione moderna con una grande azienda italiana di servizi.

UNA RINNOVATA RELAZIONE FRA LE ORGANIZZAZIONI E UNIPOL
Nel corso del 2016 si apriranno le trattative per una serie di importanti rinnovi contrattuali e andremo al rinnovo delle convenzioni nazionali.
Si tratta di fatti molto diversi fra loro ma entrambi significativi per la qualità delle nostre relazioni.
Nel primo campo, secondo quello che emerge dalla stampa, il tema di individuare soluzioni di welfare integrativo a vantaggio dei lavoratori sarà fortemente presente nelle piattaforme e nelle possibili chiusure di accordi: le esperienze compiute in passato, ma anche il lavoro fatto dai CRU sui territori ci dicono che anche in questa circostanza Unipol potrebbe rappresentare per le OO.SS. un soggetto di riferimento sul mercato.
Nel secondo caso, il rinnovo delle convenzioni nazionali, ci aspetta un lavoro importante anche in termini di innovazione.
Due, a mio avviso, dovrebbero essere i punti fermi da cui partire per questa attività: individuare soluzioni adeguate per gli iscritti alle Organizzazioni e realizzare attività di conoscenza e di sviluppo sui territori. Entrambe le cose le possiamo fare insieme.
So bene che sul tema delle convenzioni, a volte, siamo in presenza di criticità e di contraddizioni che ne frenano le potenzialità: ma sono anche convinto che l’approccio giusto sia quello di governare queste criticità e contraddizioni con la capacità di capirci reciprocamente.
Gli ultimi due temi che metto alla vostra attenzione, e di cui citerò soltanto il titolo, sono quelli dei progetti di collaborazione fra le nostre reti sul territorio e dei nuovi strumenti di informazione e di comunicazione che vogliamo mettere a punto.
Nel campo dei progetti di collaborazione abbiamo esperienze che è utile condividere, analizzare, migliorare, uscendo dalla fase “artigianale” che le ha contraddistinte, per passare invece ad un livello più “industriale”, mettendo a regime i rapporti e strutturando meglio i processi. Penso alle diverse iniziative che abbiamo realizzato con i CAF, anche con significativi risultati, che è bene riprendere e qualificare; penso al progetto produttori della CIA, per il rilancio del quale stiamo lavorando.
Un cenno finale sugli strumenti di condivisione di informazioni e di esperienze. Nel 2016 faremo un deciso salto di qualità in fatto di strumenti social: avremo il sito dei CRU, il rilancio della newsletter, la pagina facebook e il profilo twitter.
Stiamo quindi investendo anche in questo campo: il miglior ritorno di questo investimento per noi sarà l’effettivo utilizzo di questi strumenti e di queste opportunità da parte dei nostri stakeholder: sono sicuro che se questo avverrà ci saremo reciprocamente arricchiti e qualificati.


CRU e i social media

I CRU Unipol si sono posti come obiettivo per il 2016 quello di aumentare la dinamicità comunicativa con l’obiettivo prioritario di rafforzare le reti di relazioni e la condivisione delle esperienze tra i diversi territori.

Pe fare questo oggi è indispensabile l'utilizzo del web e dei nuovi strumenti, in particolare dei social media.

È per questo che il coordinamento dei CRU ha pensato ad un sito in versione magazine e ha aperto una pagina Facebook e un profilo Twitter.

Ora sta (anche) a voi seguire questi profili, partecipare, condividere. E se pensate che qualcuno possa essere interessato  invitatelo a mettere "mi piace". È facile! Basta andare sulla nostra pagina Facebook e usare l'apposita funzione

CRU_Unipol


Cru Unipol

5° Assemblea Nazionale CRU

Bologna, Auditorium UNIPOL, 21 Gennaio 2016 ore 10.00

Il tema dell'Assemblea nazionale dei CRU che si terrà a Bologna il prossimo 21 gennaio 2016 sarà l’esigenza per tutta l’industria assicurativa italiana, e per Unipol in primo luogo, primo gruppo italiano nei rami danni, di porsi di fronte ai problemi di protezione sociale del XXI secolo (temi di cui ha parlato recentemente l’AD del gruppo Carlo Cimbri in una serie di interventi): la sanità, la previdenza, le calamità naturali, il lavoro.

Il titolo dell’assemblea, NESSUNO DEVE ESSERE LASCIATO SOLO, riflette proprio questa impostazione: Unipol, anche attraverso le sue reti, vuole stare in mezzo alle persone, con i propri professionisti e le proprie proposte, imprenditoriali e di soluzioni. Proveremo a trattare questo tema, così vasto e complesso, lungo tre prospettive, ciascuna delle quali sarà articolata in approfondimenti su parole chiave, affidate agli stessi Presidenti CRU:

  1. Una collaborazione più avanzata fra pubblico e privato. Dalla partnership di esecuzione alla partnership di soluzioni. Il rapporto pubblico-privato viene prevalentemente pensato come sussidiarietà verticale, cioè come una filiera lungo la quale parti di attività vengono “lasciate” al privato. In una logica di partnership di soluzioni la sussidiarietà diventa orizzontale, è un mix di progettazione ed esecuzione. In altri termini: l’opportunità di potere disporre di risorse e investimenti privati, ad esempio in attività di welfare mix, necessita inevitabilmente spazi di codeterminazione nella progettazione del servizio e nella predisposizione delle soluzioni organizzative, anche per una comune esigenza, del pubblico e del privato, di controllo dei costi.
    Il pubblico mantiene compiti di programmazione e di governo del processo, mentre la progettazione delle soluzioni, in coerenza con le finalità dei decisori pubblici, avviene insieme al privato.
  2. Il mutualismo nella società del rischio. Organizzare la domanda, progettare la risposta.
    Se è vero, ad esempio, che in sanità oltre 33 mrd vengono lasciati all’out of pocket c’è un problema di organizzazione in forma collettiva di questa spesa, difendendo in tal modo i ceti meno abbienti, che comunque concorrono a determinarla.
    Inoltre oltre alla necessità di organizzare la spesa dei singoli, è probabilmente venuto il momento anche di riflettere sulla struttura delle forme integrative esistenti, che spesso corrono il rischio di difendere solo una parte sociale (i dipendenti delle grandi imprese che hanno fondi integrativi oppure i grandi fondi nazionali di categoria).
    Queste forme spesso ignorano i dipendenti delle piccole e medie imprese, i lavoratori precari e i lavoratori non dipendenti. Il mutualismo si presenta così come una forma antica, ma sempre moderna, di tutela dei più deboli, dove il pubblico fa sempre più fatica ad arrivare.
    Organizzare queste forme di tutela può rappresentare quindi anche un’opportunità per i corpi intermedi, di riaffermare il proprio insostituibile ruolo.
  3. Una nuova relazione fra Organizzazioni e Unipol. Le reti fisiche sul territorio. Senza sottovalutare l’importanza delle reti virtuali e delle nuove forme di comunicazione, che saranno utilizzate anche nel corso dell’assemblea, le reti fisiche sono il principale strumento per non lasciare nessuno da solo. A questo scopo le reti fisiche di Unipol e delle strutture di servizio delle Organizzazioni possono interagire positivamente: la professionalità, le soluzioni e il servizio delle agenzie Unipol insieme alla capillarità delle reti di servizio delle organizzazioni possono rappresentare un’opportunità in più per i lavoratori e i piccoli imprenditori artigiani e commercianti. D’altro canto le organizzazioni stanno ripensando complessivamente le proprie strutture e le proprie attività di servizio. In una accezione di partnership fra Unipol (in particolare le agenzie del territorio) e queste strutture come possiamo pensare ad una relazione efficace? Abbiamo qualche esperienza che può rappresentare un punto di riferimento, da lì possiamo partire per ulteriori innovazioni in questo senso. In prospettiva, queste reti (sia le nostre che quelle delle organizzazioni) possono diventare sedi di diffusione di forme mutualistiche. Più nel breve possono diventare momenti di proposizione di soluzioni individuali contrattate (le convenzioni nazionali).

Da questa breve esposizione emerge quindi tutta la valenza in termini di prospettiva di lungo periodo che abbiamo dato all’assemblea di quest’anno che, proprio per questo, abbiamo voluto aperta alla partecipazione del più largo numero possibile di rappresentanti regionali e territoriali delle Organizzazioni del mondo del lavoro, delle imprese e della cooperazione.

Vi aspetto!

Aleardo Benuzzi


Ecco il programma della mattinata:

10:00 APERTURA E SALUTI Pierluigi Stefanini, Presidente Unipol Gruppo

10:10 I CONSIGLI REGIONALI UNIPOL NELLA REALTÀ DELLA NUOVA IMPRESA Aleardo Benuzzi, Responsabile CRU

10:20 Una collaborazione più avanzata fra pubblico e privato. Da partnership di esecuzione a partnership di soluzione. Presidenti CRU: Vincenzo Colla, Emilia Romagna; Antonio Falotico, Basilicata; Graziano Di Costanzo, Abruzzo; Franco Ianeselli, Trento; Donato Campolieti, Molise; Alba Lizzambri, Liguria; Alessandro Meozzi, Umbria
11:10 LINEE GUIDA DEL PIANO INDUSTRIALE 2016/2018 Matteeo Laterza, D.G. UnipolSai Assicurazioni

11.20 Il mutualismo nella società del rischio. Organizzare la domanda, proge are la risposta. Presidenti CRU: Pasquale Capellupo, Calabria; Giulio Fortuni, Veneto; Domenico Falcomatà, Valle d’Aosta; Carmelo Rollo, Puglia; Claudio Di Berardino, Lazio; Luca Bernareggi, Lombardia

12:10 AGENTI UNIPOLSAI: EVOLUZIONE DEL RUOLO E FUNZIONE SOCIALE Salvatore Lauria, Agente UnipolSai Assicurazioni

12:20 Una rinnovata relazione fra le Organizzazioni e Unipol. Le reti fisiche sul territorio. Presidenti CRU: Toni Serafini, Bolzano; Stefano Mastrovincenzo, Marche; Massimo Biagioni, Toscana; Claudio Cinti, Friuli Venezia Giulia; Giovanna Castagna, Sicilia; Ludovico Actis Perinetto, Piemonte; Gabriella Caria, Sardegna

13:10 UNIPOL VERSO IL FUTURO Carlo Cimbri, A.D. Unipol Gruppo

 

 

PROGRAMMA_21_gennaio_pdf__1_pagina_ 2


Cru Unipol

Come si è affermata la grande impresa cooperativa in Italia

21 Gennaio 2016, Auditorium UNIPOL via Stalingrado 37, Bologna ore 15.00

Presentazione del libro

"Come si è affermata la grande impresa cooperativa in Italia"

Il ruolo strategico di Enea Mazzoli

Presentazione del libro di Vera Zamagni

L’imprenditorialità cooperativa ha dato all’Italia dell’ultimo mezzo secolo un importante contributo di a ività e occupazione. Il libro ripercorre la carriera di Enea Mazzoli, dapprima dirigente del se ore consumo e poi presidente di Unipol, alla scoperta del segreto di questa oritura cooperativa, che risiede in un modello d’impresa sostenibile, perché tiene insieme e cienza di mercato e ideali di solidarietà.

 

Interverranno:

Giuliano Poletti (Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali)

Pierluigi Stefanini (Presidente Gruppo Unipol)


 

Programma

Ore 15.00: inizio incontro

Intervengono
Carlo Cimbri, Amministratore Delegato Gruppo Unipol
Rita Ghedini, Presidente Legacoop Bologna
Enea Mazzoli, Presidente Onorario Gruppo Unipol
Giuliano Poletti, Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali
Pierluigi Stefanini, Presidente Gruppo Unipol
Vera Zamagni, autrice del libro, professore di Storia Economica presso l’Università di Bologna

Ore 17.30: chiusura incontro

Senza_titolo__Copia_di_programma_21gennaio_11_01_16_def___1_pagina_


Economia della terra. Cibo, territorio, vocazioni, sviluppo in Calabria.

Un paese diviso e diseguale, dove il Sud scivola sempre più nell’arretramento. È la fotografia emersa dalle anticipazioni del Rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno presentato lo scorso luglio. Scrivere il rapporto che nel 2014, per il settimo anno consecutivo, il PIL del Mezzogiorno è risultato negativo (-1,3%) con una riduzione complessiva negli anni della crisi pari al 13%, quasi il doppio della flessione registrata nel Centro-Nord (-7,4%).

Mentre il PIL pro capite tornava ai livelli di quindici anni fa, oltre il 60% dei cittadini meridionali ha un reddito pro capite che non supera 12.000 euro annui, i consumi delle famiglie sono crol-lati del 13%, gli investimenti nell’industria del 59%, nel settore dell’agricoltura del 38% - ma tale contrazione si associata a difficoltà strutturali come le modeste dimensioni delle aziende, l’invecchiamento degli imprenditori, un valore aggiunto del settore diminuito dall’inizio degli anni Duemila del 16%.

La difficoltà complessiva della produzione nel Mezzogiorno si lega a un mercato del lavoro in grande affanno. Se l’occupazione è una priorità nazionale, vale particolarmente al Sud, dove nel 2014 si è ulteriormente contratta (-0,8%), mentre al Centro-Nord tornava un poco a crescere. Il tasso di disoccupazione giovanile nel Mezzogiorno, infine, ha toccato quota 56%.

La riduzione cumulata del PIL risulta, per quasi tutte le regioni meridionali, più accentuata che nella maggior parte delle regioni del Centro-Nord, ma la situazione non è uniforme: nel 2014, il calo delle attività economiche è alto in Puglia e in Sardegna, si attenua la flessione in Abruzzo, Campania e Sicilia, migliora molto il Molise, la Basilicata e la Calabria che presenta il risultato più incoraggiante (-0,2%). Insomma, scrive l’Istat, è la disomogeneità la prima caratteristica di un pae- se dove si giustappongono punte di eccellenza e vitalità a problemi specifici per singole aree, settori, gruppi di cittadini o di famiglie.

Il punto chiave, sostiene l’istituto nazionale di statistica, è l’assenza da molti decenni del Mezzogiorno dalle priorità delle policy, mentre ha preso piede un modello che ha allargato il divario con le aree Settentrionali, non soltanto sul terreno delle attività economiche e dell’occupazione ma anche in quasi tutte le dimensioni del benessere: «Il problema è tale che se non si recupera il Mezzogiorno (le sue imprese, le sue città, i suoi residenti) alle dimensioni di sviluppo e di crescita su cui si stanno avviando altre aree e altri soggetti del paese, sviluppo e crescita non potranno che essere penalizzati, quantitativamente e qualitativamente, rispetto agli altri paesi».

1  Sulla base di questa evidenza, indica l’Istat, per riportare il Mezzogiorno sul sentiero della crescita appaiono opportuni tre tipi d’investimenti: in capitale fisico, in capitale sociale (cioè nella fiducia reciproca dei cittadini e degli operatori economici, a partire dalla scala urbana), in un’amministrazione “responsabile” e capace di politiche verificabili nei loro risultati.

 

I vantaggi economici di un patrimonio culturale diffuso.

Spesso il riferimento alla storia, alla tradizione, all’eleganza, allo stile e alla qualità della vita che caratterizzano l’Italia è trattato come uno stereotipo. Però è in questa accezione che si fa riferimen- to al Made in Italy inteso non come comparto (si tratta invece di una pluralità di settori) ma come risorsa intangibile che “dà valore” cristallizzandosi in alcune produzioni nazionali e tipicità territo- riali. Poiché vive di un delicato equilibrio tra componenti tecnico-economiche e culturali- territoriali, il Made in Italy chiama in causa metodi e competenze localizzate, tradizioni produttive, usi nuovi di materiali, oggetti, competenze.

Anche l’Istat ricorda che fattori come il patrimonio artistico e naturale, la storia e la tradizione locale, la qualità della vita rappresentano opportunità per i territori, nel senso che le risorse fisiche e le attività economiche rispecchiano la vocazione culturale e attrattiva dei luoghi – concetto nel qua- li si ricomprende il patrimonio storico e monumentale, quello paesaggistico, le risorse agro- alimentari, l’artigianato artistico, l’industria culturale e creativa.

Il Made in Italy, insomma, non si riferisce solo al mondo manifatturiero. Esiste un Made in Italy della terra, dove le componenti intangibili del valore sono radicate nell’impresa agricola e zoo- tecnica, non più semplici produttrici di beni che l’industria alimentare si incarica di trasformare e “rivestire” di contenuti immateriali, ma attori strategici di una filiera sempre più spesso complessa e integrata.

Esiste un Made in Italy della distribuzione, si pensi all’esperienza di Eataly – la più nota – ai negozi monomarca e infine ai tanti esercizi commerciali capaci di creare valore attraverso l’investimento nel contenuto esperienziale. Ed esiste un Made in Italy dell’accoglienza e della risto- razione, ancorato alle qualità del territorio eppure sempre più intrecciato alle reti internazionali della promozione, che gioca un ruolo chiave nella mobilitazione dell’incoming turistico, di visitato- ri, residenti temporanei, studenti, operatori economici interessati alla qualità del vivere oltre che dai tradizionali asset localizzativi.

Questa accezione del Made in Italy è al centro della ricerca. Economia della terra. Cibo, territorio, vocazioni, sviluppo in Calabria.

COME SI SVOLGE LA RICERCA

La ricerca intende approfondire lo stato dell’arte, le possibilità di sviluppo, la reazione alla crisi, gli adattamenti, le scelte operate dalle imprese che hanno al cuore del loro modello e prodotto la valo- rizzazione delle risorse territoriali e culturali della regione Calabria.

Partendo dalla filiera agroalimentare (produzione, distribuzione, commercializzazione), l’indagine intende allargare lo sguardo verso le filiazioni economiche che legano il cibo alla valoriz- zazione territoriale, analizzando le trasformazioni in corso tra le imprese, osservando casi emble- matici di trasformazione di prodotto e di processo, intrecciando storie d’impresa e storie personali. Attraverso la lente del cibo, ci si propone di osservare i tanti microsettori ad esso collegati, in un’ottica integrata e trasversale: l’agricoltura e la trasformazione agroalimentare; la produzione di sistemi, macchine e apparati; la trasformazione delle risorse naturali; la commercializzazione; la leva turistica e l’impresa culturale.

Certificato dall’Expo, il tema del cibo sta assumendo crescente importanza a livello nazionale. La filiera agroalimentare ha aumentato il proprio valore aggiunto nel periodo 2008-2012, con una incidenza pari al 13% sul sistema economico complessivo, e un peso del 20% in termini di occupa- zione (dati 2012). L’Italia è fra i pochi paesi comunitari a svolgere una rilevazione annuale sulle DOP-IGP-STG che rappresentano il mercato dei prodotti di qualità, che ha visto crescere la propria quota di fatturato in export del 200% fra il 2004 e il 2013.

Il secondo luogo, la ricerca intende mettere in luce il modo con cui prende forma e viene inter- pretato il concetto di sostenibilità, in senso ampio e non limitato all’impatto ambientale delle pro- duzioni. È ormai maturata la prospettiva secondo la quale nessuna via d’uscita dalla crisi sia prati- cabile senza scommesse lungimiranti su un’economia “a misura d’uomo”, nel senso che sostenibilità significa curare il rinnovamento delle risorse come base di un possibile rilancio delle nostre econo- mie, anche in chiave sociale.

L’esplodere della crisi ha reso evidente l’insostenibilità di un modello basato sulla massimizza- zione dei profitti a breve, mettendo in discussione la concezione dell’impresa come “macchina con- tro il sociale”. Anche in ambito Comunitario (si pensi ai fondi di ricerca Horizon 2020 destinati alla social innovation), l’innovazione non viene concepita come sviluppo di nuovi prodotti o tecno- logie sostitutive di lavoro vivo, al contrario considera le imprese come “sistemi aperti”, in grado di assorbire e dare valore alla capacità creativa e alle conoscenze diffuse, soddisfare bisogni collettivi, proporre nuove dimensioni della vita attiva, nel lavoro come nelle attività espressive e civiche.

GLI ARGOMENTI DELL’INTERVISTA

Cuore della ricerca è la descrizione di alcuni casi d’impresa che prende forma attraverso la rea- lizzazione di interviste in profondità a imprenditori e artigiani calabresi, con storie di vita e profes- sionali emblematiche. Obiettivo dell’intervista è cogliere le peculiarità della singola esperienza im- prenditoriale col suo specifico carico di visioni, successi e intenzioni, per leggere attraverso la sin- gola esperienza la trasformazione del mondo di cui fa parte.

Le interviste vengono condotte seguendo una traccia che, oltre a mettere in luce alcune infor- mazioni generali utili a tratteggiare i caratteri dell’impresa (dimensione, addetti, mercati, tipologie di clienti), è finalizzata a fare emergere i caratteri di innovazione del prodotto e dei processi pro- duttivi, e il legame fra impresa e territorio.

Si prevede una durata del colloquio di 90 minuti, al termine del quale sarà consegnata una bre- ve scheda di raccolta dati richiedendo all’impresa di precisarla negli eventuali aspetti che non fosse- ro già emersi nel corso della conversazione.

 

Argomenti trattati nel colloquio

Breve storia dell’impresa
Proprietà, forma, organizzazione
Addetti e loro caratteristiche
Prodotti e cambiamenti intervenuti
Qualità, Made in Italy, sostenibilità
Mercati e internazionalizzazione
Reti e partnership, rapporti con il territorio
Dimensioni dell’innovazione (tecnologica, di prodotto, organizzativa)
Crisi e suoi impatti
Andamento, cambiamenti e previsioni
I fattori di successi dell’impresa
Opportunità e rischi nel futuro dell’impresa

L’indagine è svolta da un gruppo composto da sociologi ed economisti, dell’Università della Calabria e del centro di ricerca Torino Nord Ovest. Il lavoro sarà completato entro marzo 2016.


La Vita Non Dipende (Bevi con la Testa)

Tante scuole e oltre 800 studenti provenienti da Firenze Pisa e Lucca hanno preso parte sabato mattina all'incontro dal titolo ‘La vita non dipende’ organizzato dal Progetto Nazionale #testadialkol ‘Bevi con la Testa’ che ha visto al centro del dibattito il tema delle dipendenze da sostanze psicotrope che affligge sempre di più i giovanissimi.

Nell’auditorium del Cto di Careggi, il convegno patrocinato dalla Regione Toscana presentato dall'attore Gaetano Gennai, che da tempo ha sposato il progetto TestadiAlkol e  moderato dal direttore de L’Unitá Erasmo D'Angelis, ha avuto come ospite d’onore l’inviato di Striscia la Notizia, Luca Abete, ideatore del tour motivazionale #noncifermanessuno.
L'incontro ha avuto come relatori l’assessore alla Sanità della Regione, Stefania Saccardi, Andrea Borghi della Polizia stradale di Firenze, Federico Gelli presidente del Cesvot, la direttrice generale di Careggi Monica Calamai, il professor Valentino Patussi direttore Centro Alcologico Toscano, il deputato Marco Donati, il direttore dell’Aci Firenze Alessandra Rosa, il dirigente della Polizia Stradale di Firenze, Carmine Tabarro, il Comandante Marco Seniga, il Presidente del Cru Unipol Toscana, Massimo Biagioni, l’esperto in comunicazione sociale Bruno Lo Cicero e il presidente Arcat Toscana, Pierfranco Severi.

I numeri emersi sono allarmanti: 3500 incidenti all’anno in Italia che hanno causato la morte di 22 persone. Solo negli ultimi cinque anni si sono registrati 177 incidenti mortali causati da guida in stato di ebbrezza o a causa di sostanza stupefacenti, e quasi la metà delle persone rimaste uccise, non erano quelle alla guida in stato di ebbrezza, ma quelle investite e travolte.

Istantanea_28_12_15__15_06