Tornare a crescere e sviluppare il welfare

Nell’ambito dell’evento "Tornare a crescere e sviluppare il welfare: le opportunità dell’integrazione tra istituzioni economia e territorio" che si è svolto oggi a Roma, è stato presentato il rapporto “Welfare Italia, Laboratorio per le nuove politiche sociali Osservatorio Lazio” di Unipol e Censis. Il rapporto ha chiarito la necessità di adeguamento dei modelli di gestione del sistema sanitario e assistenziale: nel 2030 la popolazione del Lazio supererà i 6 milioni di residenti, con una crescita più sensibile della popolazione over 65 che, tra 15 anni, supererà di oltre 200mila unità i giovani fra 15-34 anni.

Per il 71% dei laziali la preoccupazione principale è l’impossibilità di risparmiare unita al mantenimento del tenore di vita e all’incapacità di far fronte alle spese mediche. Timori che, nel 33,2% dei casi, si traducono nella rinuncia a cure mediche.

Il 42,7% dei romani giudica positivamente il funzionamento della sanità regionale, percentuale superiore rispetto al 20,1% dei residenti nelle altre province laziali. A causa però dei lunghi tempi di attesa, il 79,1% dei laziali ricorre alla sanità privata.

Il 41,5% dei romani e il 54,5% dei residenti nelle altre province si dichiarano interessati a strumenti integrativi in campo sanitario.

All'evento hanno partecipato, tra gli altri, Pierluigi Stefanini, Presidente del Gruppo Unipol, Nicola Zingaretti, Presidente della Regione Lazio, Catia Tomasetti – Presidente Acea, Claudio Di Bernardino – Segretario Generale CGIL Roma e Lazio e Presidente CRU Lazio, Giuseppe Roma – senior advisor della Fondazione Censis, assieme a molti altri esponenti delle istituzioni, delle forze sociali e delle imprese laziali.

Scarica il PDF completo del Rapporto: Rapporto Tornare a crescere. Le opportunità dell’integrazione tra istituzioni economia e territorio. Focus sulle famiglie del Lazio(2015)


Unipol per il Clima

Parte da Torino il progetto pilota coordinato da Unipol per la prevenzione del rischio legato a catastrofi ambientali.

Il progetto Derris, investimento complessivo di 1.3 milioni di euro, prevede un piano di azioni congiunte pubblico-privato per ridurre al minimo i danni causati dal cambiamento climatico alle imprese italiane.

Torino è il primo comune italiano ad aderire a Derris, un progetto finalizzato alla prevenzione e riduzione del rischio nelle piccole e medie imprese derivante da eventi ambientali legati al cambiamento climatico come alluvioni, smottamenti, siccità, tifoni.
Il progetto Derris, che vede il Gruppo Unipol capofila insieme ai partner Città di Torino, Cineas, Anci e Coordinamento Agende 21, prevede la realizzazione di una serie di azioni per trasferire competenze di valutazione e gestione del rischio, la costruzione e diffusione di strumenti per ridurre al minimo i danni per le singole aziende e per i distretti di imprese che verranno testati con le imprese residenti sul territorio di Torino per essere poi diffusi in tutto il paese.
Derris prevede un investimento complessivo iniziale di 1.3 milioni di euro, in parte cofinanziato dalla Commissione Europea all’interno del programma Life+.
Nello specifico si prevede di realizzare:
1 strumento per l’autovalutazione dei rischi;
1 strumento finanziario per sostenere le misure di adattamento al cambiamento climatico;
1 modello di Partnership Pubblico-Privato per la resilienza.
Per quanto riguarda il territorio torinese il calendario di azioni prevede una prima fase (settembre 2015 – ottobre 2016) di analisi e un primo report sulla vulnerabilità complessiva del territorio, e l’identificazione delle aree industriali in cui concentrare l’azione pilota.
Sulla base di questi dati preliminari, il Gruppo Unipol organizzerà delle sessioni per spiegare il progetto e coinvolgere le imprese. Contestualmente sempre con il supporto degli esperti di Risk Management di Unipol verrà realizzato uno strumento in grado di auto valutare il rischio da parte delle PMI in particolare e per elaborare una prima indicazione degli accorgimenti gestionali per prevenire le emergenze.
Successivamente (luglio 2016 – ottobre 2017) Cineas, consorzio universitario no profit, impegnato nella diffusione della cultura del rischio, avvierà un piano di formazione per imprenditori e amministratori pubblici sui rischi legati al cambiamento climatico.

In seguito a partire da luglio 2016 la Città di Torino elaborerà un piano di adattamento, da applicare ad ogni azienda che avrà aderito al progetto (CAAP) e un piano di adattamento di distretto per l’area in cui le imprese sono insediate (IDAP).
Nel corso del progetto Unipol coordinerà un gruppo di lavoro che, attraverso workshop ed interviste con i principali stakeholder, definirà lo strumento finanziario adatto a raccogliere capitali per finanziare la messa in sicurezza delle aziende e dei territori.
Entro la fine del progetto l’ANCI redigerà un documento destinato al Parlamento Italiano ed Europeo in cui saranno riportati gli esiti dello studio, le carenze rilevate e le possibili soluzioni
Infine Coordinamento Agende 21 faciliterà il processo di creazione di una community per l’adattamento in cui coinvolgere nuove PA e nuove imprese che beneficeranno del percorso e degli strumenti per la riduzione del rischio e aumento della resilienza sviluppati dal progetto.
La scelta di Torino quale città pilota del progetto si motiva con la lunga tradizione industriale e con la ancora consistente presenza di un tessuto produttivo avanzato. Il territorio ha già vissuto esperienze traumatiche a causa delle conseguenze di eventi meteorologici estremi, come avvenne con l’alluvione di 15 anni fa. La Città di Torino è, inoltre, parte attiva nelle politiche europee sui cambiamenti climatici, con l’adesione al Patto dei Sindaci e Mayors Adapt e con la redazione dei relativi Piani d’Azione.
L’Italia rappresenta una delle aree più vulnerabili agli impatti attesi dai cambiamenti climatici, secondo uno studio (Desiato et al, 2014 ISAC-CNR) l’aumento della temperatura media è superiore a quello globale ed europeo. In uno scenario di aumento della temperatura entro il 2050 di circa 0,93°, i danni provocati dai cambiamenti climatici potrebbero essere pari al 0,12 – 0,16% del PIL, ammontando a circa 20-30 miliardi di Euro di mancata produzione di beni e servizi con riferimento al PIL del 2009 (Carraro 2008).)
L’obiettivo di Unipol e dei suoi partner è diffondere strumenti e competenze per la valutazione dei rischi, la definizione di piani di disaster recovery per le aree più a rischio.
L’attuale sistema italiano non ha finora previsto l’accantonamento di riserve per far fronte agli eventi catastrofali e ciò determina il fatto che le risorse necessarie per sbloccare gli indennizzi debbano essere individuate di volta in volta, generando grandi difficoltà soprattutto per le PMI.
Senza un intervento pubblico centrale che crei le condizioni per lo sviluppo di un mercato di supporto l’offerta di prodotti di protezione per le catastrofi naturali si limita a un’azione di solidarietà con il territorio che non ha una sostenibilità economica sicura.

Scarica il documento "UNIPOL per il clima: IL CAMBIAMENTO CLIMATICO E IL RUOLO DELLE ASSICURAZIONI IN ITALIA" in formato PDF (4,8MB) "UNIPOL_Clima"


L’impresa contro le disuguaglianze

L’economia sociale in Europa occupa più di 14,5 milioni di lavoratori retribuiti, pari a circa il 7,4% dell’occupazione dell’unione a 15 stati, con un trend di crescita costante, aiutato anche dalle iniziativa della stessa Unione Europea che vede per l’imprenditoria sociale un ruolo di prospettiva. Su questi temi e sul rapporto fra essi e le grandi imprese il Gruppo Unipol promuove una riflessione, nell’ambito della presentazione del proprio bilancio di sostenibilità, raccogliendo la sfida a misurarsi sulle problematiche dei nuovi bisogni e delle nuove responsabilità.

Il Gruppo bolognese, divenuto uno dei player dell’economia nazionale, riafferma in tal modo il proprio radicamento nella solidarietà e nella promozione di progetti di forte utilità sociale. Il Presidente Pierluigi Stefanini sarà a Firenze per ricordare che “la crisi e l’aumento delle disuguaglianze, insieme alle grandi trasformazioni sociali e tecnologiche, fanno emergere nuove esigenze e bisogni, che richiedono una profonda modifica del sistema di protezione”. Il tema 2015 dunque è “Il No Profit & le grandi imprese”.

Quindi la sede scelta non è certo casuale. Si tratta dell’Auditorium Florence Learning Center (Nuovo Pignone, in Via Perfetti Ricasoli, 78 a Firenze, martedì 22 settembre, inizio previsto alle ore 10.00) e parteciperanno una serie di protagonisti impegnati in prima fila, accolti da Massimo Messeri, neopresidente fiorentino di Confindustria e Massimo Biagioni, Presidente del CRU, Consiglio Regionale Unipol della Toscana, che è lo strumento di rappresentanza degli stakeholder del gruppo assicurativo-bancario.

Biagioni osserva che “Siccome non si può sempre chiedere solo agli altri, alla politica e alle istituzioni, Unipol ribadisce la volontà di fare la propria parte, concorrendo alla partita sul fronte del privato sociale, solidaristico e imprenditoriale”. Interverranno Mauro Magatti, professore di Sociologia alla Cattolica, Andrea Ceccherini, Provveditore della Misericordia, Alessandro Martini, Delegato toscano Caritas, Daniela Mori, Presidente Unicoop Firenze, Luca Testoni Eticanews. Conclusioni dell’Assessore regionale alla Salute, al welfare e all’integrazione socio- sanitaria Stefania Saccardi e Pierluigi Stefanini, Presidente Unipol.

Fonte: Consigli Regionali Unipol - Ufficio Stampa


Unipol e la Sostenibilità tra pubblico e privato

Continua la serie di incontri che il Gruppo Unipol dedica ai temi connessi alle politiche di responsabilità sociale, partendo dal proprio Bilancio di Sostenibilità del 2014, che puoi scaricare qui in formato PDF (2,6MB).

Il prossimo 7 luglio alle 17 a Bologna, nell’Aula Giorgio Prodi del Dipartimento di Storia Culture e Civiltà, dell’Alma Mater Studiorum, in Piazza S.Giovanni in Monte, 2, si terrà l’iniziativa dedicata a “Responsabilità sociale tra pubblico e privato. A confronto sulla Sostenibilità del Gruppo Unipol”.

Dopo il saluto di Vincenzo Colla, Presidente CRU dell’Emilia Romagna, Marisa Parmigiani, presenterà il Bilancio di Sostenibilità 2014; a seguire gli interventi di Stefano Bonaccini, Presidente Regione ER; Giuseppina Gualtieri, Presidente Tper; Matteo Lepore, Assessore alle Attività produttive di Bologna; Pierluigi Stefanini, Presidente del Gruppo Unipol; Adriano Turrini, Presidente Coop Adriatica e di Impronta Etica; coordinerà Luca Lambertini, docente al Dipartimento di Scienze Economiche, UniBo.


Made in Piemonte

Nel suo capannone sul Lago d’Orta, Katia assembla rubinetti per camper e barche, e contemporaneamente realizza con un orafo un rubinetto gioiello che fa sognare gli sceicchi nelle grandi fiere internazionali. Roberto, tra i vigneti del Roero, produce un Barolo che esporta in mezzo mondo e la sera intrattiene gli ospiti nel suo agriturismo relais. Enzo, dalla raccolta e trasformazione dei tappi di sughero usati produce materiali per la bioedilizia che vende on line. Donato investe in macchinari più efficienti e innovativi, per dare nuove chance all’impresa che fa meccanica di precisione del padre, nata nel garage di casa a Novara.

Sono i protagonisti della ricerca Made in Italy, Specialità piemontese, che Torino Nord Ovest ha scritto su incarico di Unipol, provando a fare una fotografia del mondo in cui si incrociano comparti con filiere, eccellenze con tessuti imprenditoriali localizzati, tradizioni artigianali con business globali. La ricerca è durata nove mesi di inteso lavoro di interviste, visite agli stabilimenti, più un laboratorio di idee itinerante, che ha coinvolto piccoli imprenditori e rappresentanze in tre appuntamenti molto partecipati in giro per il Piemonte. Erano occasioni di confronto fra addetti ai lavori, per fare emergere punti di vista, buone pratiche, nodi critici e opportunità da cogliere.

Al cuore della ricerca era la domanda sul futuro della manifattura piemontese, per verificare se i sedimenti della cultura della produzione, dell’organizzazione, della tecnologia che sono stati il segno distintivo di questo territorio gli consentiranno di ritagliarsi un ruolo nell’Italia industriale del post-crisi. E se il Piemonte sarà capace di contribuire attivamente al futuro del Made in Italy, che in questa regione ha molte imprese importanti e ha visto la nascita fenomeni – si pensi a Slow Food – che hanno contribuito a dotare di nuovi significati e immagini il prodotto italiano.

Le grandi industrie si sono ritirate, ma il Piemonte fa ancora parte del ristretto gruppo di regioni in cui la manifattura occupa oltre il 30% degli addetti. Il mix produttivo comprende auto, mezzi di trasporto e produzioni meccaniche (la principale specializzazione) e si esprime meno nelle manifatture leggere, con l’eccezione dell’agroalimentare e delle bevande. Sul territorio hanno sede oltre 10.700 imprese attive nei settori Made in Italy in senso stretto (manifatture leggere), che impiegano quasi 95.000 addetti: si tratta di un terzo delle aziende manifatturiere attive. Tra queste, la componente più numerosa è il settore alimentare e bevande, ma se si guarda al valore del prodotto e alla occupazione, pesa di più il Made in Italy ad alta tecnologia, che impiega oltre 160.000 persone – di cui quasi 100.000 nella produzione di auto, componenti e altri mezzi di trasporto. Considerando insieme i due gruppi, nella regione sono attive circa 14.500 imprese che impiegano 258.000 addetti.

Anche il Made in Italy piemontese si compone, come ovunque in Italia, di piccoli operatori. Il 70% delle imprese Made in Piemonte sono artigiane, dunque la prevalenza della grande industria nella regione si dimostra più che altro un mito. La crisi economica ha fortemente colpito il settore, se si pensa che, tra 2008 e il 2012, le imprese attive sono diminuite di 1.500 unità, e si sono alleggerite di 26.000 posti di lavoro. Nonostante tutto, esiste una minoranza robusta di operatori che ha saputo riposizionare il proprio business e crescere, e a fare la differenza è stata la capacità delle singole imprese di espandersi sui mercati internazionali: il Piemonte è da anni stabilmente quarta regione esportatrice in Italia.

 

L’identikit del made in piemonte, in dieci passi

  • Gli imprenditori. Al centro dell’universo manifatturiero diffuso erano, e restano, gli imprenditori. Hanno radici forti, sempre (o quasi) figli di un contesto e di saperi, relazioni, appartenenze. Vedono il lavoro come passione durevole e l’impresa come progetto di vita. La famiglia ricoprire un ruolo cruciale, come incubatore delle competenze, come “investitore” fiduciario, come bacino di lavoro e sostegno materiale.
  • Il prodotto. Le imprese sviluppano un prodotto proprio e mettono in campo strategie ibride di innovazione (incrementale/evolutiva/radicale), le quali dipendono dalle prerogative del “campo” in cui sono inserite. In genere, la logica comune vede le imprese muoversi da prodotti semplici a prodotti più complessi. Di norma si conferma l’orientamento alle “nicchie”: piccole serie, pezzi unici, tendenzialmente rivolti a segmenti “alti” del mercato.
  • I confini. Le imprese esaminate allungano i confini dei propri mercati, e alcune vantano quote export superiori a metà del fatturato, mentre per altre le vendite estere costituiscono una frazione crescente. Le dimensioni piccole non sono più un ostacolo per vendere e tra loro le imprese collaborano più di quanto si creda, anche se la cooperazione è raramente formalizzata.
  • Crisi e innovazione. L’impatto della crisi è stato importante per molte imprese, ma quasi tutte hanno saputo ristrutturare la formula imprenditoriale e aprire un nuovo ciclo. Ristrutturazioni, innovazione di processo, lancio di nuovi prodotti o adattamento di quelli esistenti sono le piste praticate. Gli anni di crisi sono divenuti un laboratorio ideativo per nuove vie, la crisi un acceleratore di riconversioni.
  • Dimensioni d’impresa. L’esercito del Made in Italy rimane una fanteria leggera, con ampia prevalenza di imprese piccole (ma non troppo), più che medie. Il nucleo trainante mostra tuttavia di sapersi muovere verso prodotti e servizi che si appoggiano sulla qualità, il fashion, la creazione di significati, la smaterializzazione degli asset generativi di valore.
  • Nuovi mercati. L’ampliamento dei confini operativi pone alle piccole imprese problemi inediti. Ad esempio, la velocità delle transazioni implica maggiore incertezza sul rispetto dei contratti e la necessità di affidarsi a dispositivi formali anziché fiduciari. Che sappiano garantire la qualità e l’affidabilità delle produzioni, la veridicità dei prodotti e il valore immateriale incorporato nel brand collettivo.
  • Mostrarsi. Mostrare i propri prodotti, dotandosi di adeguate informazioni “pubbliche” costituisce sempre più la condizione necessaria per la partecipazione ai mercati. È diffusa la convinzione, tra molti operatori, che il web costituisca il vero canale di riferimento per la comunicazione commerciale.
  • Capitale umano. Cresce la necessità di personale mediamente qualificato. L’impiego di operai specializzati con forti componenti di “capitale umano biografico” (basate cioè sull’esperienza e sui saperi taciti) appartiene alla storia del Made in Italy, mentre la novità è rappresentata dalla parziale svolta “cognitiva”: spesso i titolari ad essere in possesso di adeguati skill formali, ma sempre più spesso le imprese introducono in azienda personale con competenze importanti nei campi del design, marketing, comunicazione.
  • Nuovi valori. Dall’originaria declinazione di “bello” “buono”, progressivamente il Made in Italy, si è arricchito di nuovi valori e concetti. Al centro c’è sempre la qualità del prodotto, ma questo incorpora anche l’idea del “pulito” e, se possibile, dello “smart”. Sembra maturata tra gli imprenditori la prospettiva della sostenibilità, l’idea di “rendere sostenibile la modernità”.
  • Ecosistema. Infine, la qualità dell’ecosistema ha un valore irrinunciabile. A fronte della complessità ambientale e dei mercati, le imprese richiedono risorse esterne e beni collettivi che non sono in grado di generare dall’interno. Le storie delle imprese che ce la fanno testimoniano l’importanza di avere banche che danno fiducia, associazioni imprenditoriali proattive, buone scuole professionali, università e centri di ricerca, policy regionali efficaci, burocrazia locale efficiente, servizi qualificati e innovativi, oltre che sistemi di saperi e conoscenze tecniche capaci di trasferirsi per contaminazione. Questo capitale territoriale, nell’apparente evaporazione dei sistemi locali come bacini delle risorse per competere, e nel reale venire meno di reti fiduciarie tessute dalla condivisione della cultura d’origine, è il vero venture capitalist collettivo delle imprese del nuovo Made in Italy.

Fonte TNO Blog

Il video della ricerca

https://vimeo.com/126116791

Il progetto

Scarica l'Abstract in PDF (133kb): MadeInPiemonte_Abstract

Scarica il Factsheet in PDF (1MB): MadeInPiemonte_Factsheet

Invito 1° Appuntamento: Made-in-Piemonte_ECONOMIA-DELLA-TERRA_1.12.14

Invito 2° Appuntamento: Made-in-Piemonte_ECONOMIA-DELLA-NUOVA-FABBRICA_27.1.14

Invito 3° Appuntamento: Made-in-Piemonte_ECONOMIA-DELLA-GRIFFE_16.2.14


Sicurstrada Live 2015 a Olbia

Venerdì 13 marzo 2015 è stato consegnato al Liceo “Lorenzo Mossa” di Olbia il contributo di UnipolSai per la ricostruzione del campo sportivo danneggiato nell’alluvione del 2013. Con Unipolis/Sicurstrada si è parlato di sicurezza stradale e mobilità sostenibile.

Nella mattinata si sono svolti due momenti significativi a partire dalle ore 11,20 quando UnipolSai ha consegnato un contributo per la ricostruzione del campetto sportivo polivalente danneggiato dalla alluvione del novembre 2013. Hanno partecipato Luigi Antolini – Dirigente Liceo Scientifico “L. Mossa” di Olbia, Aleardo Benuzzi – UnipolSai Assicurazioni, Gabriella Caria – Presidente CRU Sardegna, Antonio Piredda – Rappresentante studenti.

Successivamente, dalle 11,40 alle 13, si è svolto un incontro promosso insieme a Fondazione Unipolis e Sicurstrada sul tema “La sicurezza stradale e al mobilità sostenibile”, al quale hanno preso parte: Ivana Russo – Assessore alla sicurezza Comune di Olbia, Gianni Serra – Comandante Polizia locale di Olbia, Giordano Biserni Presidente Associazione sostenitori ed amici della Polizia stradale, Fausto Sacchelli – Fondazione Unipolis.

All’iniziativa hanno partecipato gli alunni delle classi III, i temi affrontati sono stati quelli della guida sicura e della mobilità sostenibile, con particolare attenzione all’utenza più vulnerabile della strada – pedoni, ciclisti, anziani, giovani.

L’obiettivo è stato far riflettere i giovani che guidano il motorino o che sono neopatentati sui rischi che corrono per sé e per gli altri quando adottano uno stile di guida non virtuoso, a causa del non rispetto delle regole, della velocità elevata, dell’assunzione di alcol e di sostanze stupefacenti. Inoltre è stata l’occasione di confrontarsi sul tema della mobilità sostenibile.

Fondazione Unipolis e Unipol, con il progetto Sicurstrada, sviluppano il loro impegno per far crescere la cultura della sicurezza stradale mettendo al centro gli utenti più deboli della strada: pedoni e ciclisti, così come verso i giovani che, insieme agli anziani, sono quelli maggiormente colpiti. Infatti, parlare oggi di sicurezza stradale significa affrontare, in primo luogo, i problemi di una mobilità sostenibile e di un nuovo assetto urbano.

Nel corso dell’iniziativa sono stati proiettati filmati e spot italiani e stranieri, e distribuito materiale informativo realizzato nell’ambito del Progetto Sicurstrada di Fondazione Unipolis.

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Il video:

https://vimeo.com/124332947

 

L'invito in PDF (370kb) Sicurstrada Olbia

 


Cru Unipol Welfare Convegno

Integrare il welfare, sviluppare la White Economy: prospettive del modello emiliano

Si è svolto a Bologna il convegno “Integrare il welfare, sviluppare la white economy” promosso da Unipol Emilia Romagna e Censis per discutere degli strumenti di welfare pubblici e privati che possano, oltre che dare risposte ai cittadini, rilanciare la crescita economica e l’occupazione. Durante il convegno è stato anche presentato il rapporto “Welfare Italia. Focus sulle famiglie dell’Emilia Romagna” che racconta lo stato del welfare della regione, individuando importanti suggerimenti per le scelte future.
Le famiglie emiliane nel rapporto Welfare Italia

Nonostante la lunga crisi non abbia risparmiato il territorio regionale, il 42,3% delle famiglie in Emilia Romagna valuta la propria condizione economica “solida” - una quota superiore al 31,2% della media nazionale. Tuttavia, si rileva una crescente preoccupazione per il futuro. Nella fase attuale, in particolare, i timori delle famiglie tendono a concentrarsi sulla difficoltà a risparmiare, ma più che verso un risparmio fine a se stesso la preoccupazione principale sembra riferita alla capacità di affrontare le spese mediche. Un dato che, secondo Giuseppe Roma del Censis, “ci indica quanto siano cambiati i consumi”, ora più orientati verso la ricerca del benessere psico-fisico piuttosto che sui tradizionali beni di consumo. Un dato che offre importanti indicazioni sulle scelte economiche che diversi operatori dovranno intraprendere in futuro.

Nonostante il giudizio sulla sanità pubblica in Emilia-Romagna sia positivo (per il 55% funziona bene contro il 41,7% della media italiana), il 78,2% di chi nell’ultimo anno è ricorso a cure mediche ha utilizzato la sanità privata in misura pressoché analoga a quanto succede nel resto d’Italia (77,5%). La principale ragione del ricorso al privato è individuata nelle lunghe liste d’attesa (74,4%), seguita dalla possibilità di scegliere il medico di fiducia (22,3%). Con sorpresa emerge, invece, che la flessibilità degli orari che il privato può offrire, non muova più di tanto la domanda di sanità (1,7%).

Dati che, secondo Roma, non vanno sottovalutati: “In Italia si spendono 27 miliardi di euro per la sanità privata. In Emilia-Romagna la cifra è pari a 2,1 miliardi di euro. Se a questi si aggiungono 1,4 miliardi di euro per l’assistenza, significa che le famiglie spendono circa 3,5 miliardi di euro di tasca propria. È un’integrazione strisciante che va riportata nell’alveo di un’organizzazione, creando quella che noi chiamiamo white economy”.

Sul welfare integrativo la regione presenta condizioni piuttosto complesse. Se, infatti, la diffusione di strumenti finalizzati a integrare il trattamento pensionistico e le prestazioni sanitarie si dimostra in linea col Paese, quando non superiore per alcuni segmenti, è anche vero che i margini per una ulteriore penetrazione di questi prodotti sembrano non proprio allettanti in prospettiva, a fronte di un mercato italiano che invece appare più dinamico.

Sul lato della previdenza integrativa sono più numerose le famiglie emiliano-romagnole che hanno aderito a fondi pensione integrativi aziendali (10,8%) rispetto a quanto si verifichi nel resto del Paese (8,8%), mentre non si riscontrano grosse differenze per quanto concerne gli strumenti previdenziali ad adesione individuale (11% a fronte del 10,2% a livello nazionale).

Sul versante della sanità integrativa le famiglie emiliano-romagnole tendono a concentrare il loro interesse verso le assicurazioni sanitarie private individuali (6,3%), i piani sanitari aziendali (7,2%) e le mutue sanitarie integrative (3,2%), che sono possedute da un numero di famiglie più ampio rispetto al resto del Paese, ma anche in questo caso non sembra ci siano ampie chances di crescita.

Ciò si deve, da un lato, agli elevati costi di acquisto, dall’altro – ad esempio sul fronte integrativo - risulta ampio il bacino di famiglie che pur volendo aderire a fondi o sottoscrivere prodotti assicurativi ne è di fatto impossibilitato, spesso a causa di lacune in termini di conoscenze.
Rilanciare il welfare per rilanciare occupazione e economia

“Il welfare va inteso non solo come strumento di protezione sociale, ma anche come leva per aiutare la crescita, l’occupazione e lo sviluppo di attività legate al benessere di tutti i cittadini”. Lo ha detto il presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini, spiegando che la Regione, nonostante i pesanti tagli dei trasferimenti statali, ha confermato il proprio sostegno ai servizi sul territorio. Secondo uno studio della Fondazione economica Rosselli, riportato dal Sole 24 Ore, l’Emilia Romagna si è affermata come la terza regione in Europa per eccellenza sanitaria e qualità dei servizi. “Da Piacenza a Rimini, abbiamo quasi 130mila persone assistite a domicilio e oltre 15mila famiglie che usufruiscono degli assegni di cura; negli oltre mille nidi dell’Emilia-Romagna, siamo arrivati quasi il 34% di posti coperti rispetto al totale dei potenziali utenti”. Fattori che per Bonaccini hanno contribuito al perseguimento di un buon tasso di occupazione femminile, a dimostrazione di come i servizi generino un impatto positivo sul lavoro.

Questa qualità nell’offerta di servizi tuttavia, per mantenersi tale, avrà bisogno della partecipazione responsabile di tutti gli attori, sia pubblici che privati, attraverso la definizione di “standard” di gestione e fabbisogni correlati. “E’ una sfida, la nostra, che va oltre agli assunti ideologici del passato, per cui pubblico è positivo e privato è speculazione, o viceversa il pubblico è inefficiente e tende a sprecare, per cui sarebbe meglio orientarsi a un privato efficiente” prosegue Bonaccini. “Solo in questo modo potremo rimodulare un welfare realmente di comunità e partecipato, basato su una forte presenza di garanzia del “pubblico” e, contemporaneamente, sul coinvolgimento e la partecipazione delle parti sociali, del terzo settore, con il pieno coinvolgimento del volontariato. Solo così potremmo realmente affrontare le sfide di una società – la nostra – che è già cambiata e che continuerà a cambiare”.

“Da una virtuosa integrazione pubblico-privata, unita alla valorizzazione dell’economia della salute, dell’assistenza e del benessere della persona, può scaturire un forte cambiamento di tipo produttivo e occupazionale utile al rilancio economico e sociale del Paese”, ha concluso Pierluigi Stefanini, Presidente Gruppo Unipol.
Garantire l’universalismo ed evitare la “dualizzazione”

Idea condivisa è che sia necessario fare attenzione affinché questo nuovo assetto non generi dualizzazione tra garantiti e non, non determini un “welfare a tempo determinato”, replicando le distorsioni già presenti nel mercato del lavoro e nella distribuzione del reddito. L’attuale “erosione” del ceto medio e la perdita della sua omogeneità richiedono infatti interventi innovativi anche sul fronte del welfare – alla stregua di quanto accade sul fronte della povertà.

Una soluzione potrebbe essere allora quella di ragionare a livello territoriale, come spiegato da Fiammetta Fabris, Direttore Generale di UniSalute: “Dobbiamo cogliere le opportunità che ci sono per dare avvio all’istituzione di fondi integrativi del servizio sanitario nazionale, su specifiche tematiche, anche a carattere territoriale. E’ necessario che siano aperti, cioè non riservati a specifici gruppi di lavoratori o di professionisti, ma rivolti a tutti i cittadini”.

Discorso che si inserisce nel percorso già avviato in materia di non autosufficienza, dove si sta provando ad operare su 3 livelli: 1) la costituzione di un fondo integrativo territoriale (su base regionale) per la non-autosufficienza che non faccia riferimento a specifici gruppi (di lavoratori) ma all’intera cittadinanza, a triplice finanziamento (welfare aziendale, risorse pubbliche e finanziamento dei cittadini su base volontaria); 2) l’introduzione dei buoni servizio; 3) la valorizzazione e il sostegno dei caregiver familiari, già avviata con la legge regionale sul caregiver familiare.

 

Articolo di Chiara Lodi Rizzini

Fonte Secondowelfare.it

 

Rassegna stampa

Agenzie di Stampa Convegno Welfare ER (PDF 100kb)

Repubblica Bologna

Corriere Bologna

Bologna2000.com

Modena2000.it

Parmadaily.it

Infosanita.com

Social.it


Welfare, Italia. Focus sulle famiglie in Emilia Romagna

Il  CRU EMILIA ROMAGNA ha organizzato il convegno " Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali. Integrare il welfare, sviluppare la white economy".

Il Convegno si svolgerà il 12 febbraio 2015 dalle ore 9.15 presso la Salaborsa, Auditorium Enzo Biagi Piazza del Nettuno, 3.

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White economy è fiducia nel futuro: le nuove sfide per il territorio, imprese e famiglie

Presentazione del rapporto “Welfare, Italia. Focus sulle famiglie in Emilia Romagna” di Unipol e Censis

Nuovi strumenti del welfare di territorio per una integrazione virtuosa tra pubblico e privato.

9.15 Welcome coffee e registrazione dei partecipanti

Apertura dei Lavori  Carlo Pilotti, Consiglio Regionale Unipol Emilia Romagna

Saluto istituzionale Stefano Bonaccini, Presidente Regione Emilia Romagna

Presentazione del Rapporto “Welfare, Italia. Focus sulle famiglie in Emilia Romagna” Giuseppe Roma, Censis

Tavola rotonda: nuovi strumenti del welfare di territorio per un’integrazione virtuosa tra pubblico e privato

Introduce: Vincenzo Colla, Presidente Consiglio Regionale Unipol e Segretario generale CGIL Emilia Romagna

Intervengono:

Fiamme a Fabris, Dire ore Generale UniSalute

Massimo Mazzavillani, Dire ore CNA Ravenna

Virginio Merola, Sindaco di Bologna

Giovanni Monti, Presidente Legacoop Emilia Romagna

Alberto Vacchi, Presidente Unindustria Bologna

Durante il dibattito sono previsti alcuni interventi dalla platea

La responsabilità di governare e fare impresa guardando oltre la crisi

Ne parlano: Elisabett a Gualmini, Vice Presidente Regione Emilia Romagna e Assessore alle Politiche di Welfare e Politiche Abitative

Pierluigi Stefanini, Presidente Gruppo Unipol

Sergio Venturi, Assessore alle Politiche per la Salute Regione Emilia Romagna

Welfare CRU Unipol

Scarica la sintesi del rapporto in formato PDF (1MB)

Sintesi Unipol_Censis_Report_Welfare_Emilia Romagna

 


Welfare Italia. Focus sul Lazio

Le famiglie del Lazio spendono di tasca propria per le prestazioni sanitarie più di quanto avviene nel resto d’Italia. Nel Lazio l’88,7% delle famiglie ha sostenuto infatti spese nell’ultimo anno per acquistare farmaci a prezzo intero o per pagare i ticket in farmacia (il 78,2% nella media italiana), l’83,5% ha sostenuto spese out of pocket per prestazioni ambulatoriali come visite mediche specialistiche o accertamenti diagnostici (il 60,3% a livello nazionale), il 43,6% per visite e prestazioni odontoiatriche private (contro una media del 38,6%). Data la scarsa copertura da parte del sistema sanitario pubblico, negli ultimi due anni il 31% delle famiglie del Lazio ha effettuato solo le cure odontoiatriche indispensabili, preferendo strutture pubbliche o puntando al massimo risparmio in caso di accesso alle strutture private, anche rinunciando alla qualità. E il 23% è stato costretto a rinunciare o rimandare il ricorso al dentista, sebbene fosse necessario, perché troppo costoso.

È quanto emerge da una ricerca sul welfare nel Lazio realizzata nell’ambito del progetto «Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali» di Censis e Unipol, con la collaborazione del Consiglio regionale Unipol Lazio. che è stata presentata oggi a Roma presso il Tempio da Adriano da Giuseppe Roma, Direttore Generale del Censis, e discussa, tra gli altri, da Claudio Di Berardino, Segretario Generale della Cgil Roma e Lazio e Presidente del Cru Lazio, Pierluigi Stefanini, Presidente di Unipol, Ignazio Marino, Sindaco di Roma, e Nicola Zingaretti, Presidente della Regione Lazio.

I tagli alla sanità pubblica

Nel Lazio la sanità pubblica regionale è soggetta a processi di razionalizzazione dell’offerta ospedaliera, con la riduzione dei posti letto per acuti. E il Lazio è una delle Regioni con piano di rientro, dovuto al deficit accumulato nelle precedenti gestioni, per cui gli amministratori regionali si sono trovati a dover operare in questi anni una riduzione complessiva dei costi, che potrebbe aver avuto un impatto anche sulla qualità e la capillarità dei servizi erogati. Dal 2007 al 2011, sia le strutture ospedaliere pubbliche che quelle private accreditate si sono ridotte nella regione del 7% circa, mentre nel resto d’Italia sono aumentate. I posti letto sono diminuiti del 19,7% nelle strutture pubbliche e del 28,4% in quelle private accreditate, più che nelle altre aree del Paese (nella media nazionale la variazione è pari a -6,6%). Anche il personale medico e infermieristico si è ridotto nel Lazio rispettivamente del 5,7% e del 5% contro una sostanziale stabilità registrata a livello nazionale. La spesa sanitaria pubblica per abitante nel Lazio è diminuita del 4%, con una riduzione particolarmente sensibile tra il 2009 e il 2010 (-2%), a fronte di un andamento pressoché invariato nelle altre aree del Paese.

La rete del welfare familiare

Il 40% delle famiglie italiane è impegnato in una vera e propria rete di supporto informale, fornendo aiuto ai familiari in difficoltà. Questa tendenza appare ancora più spiccata nel Lazio (55%). Nella regione la tipologia di supporto scambiata più frequentemente consiste nell’aiuto a persone sole o malate (riguarda il 22,9% delle famiglie), il prestito infruttifero di denaro o di altri beni (il 18,1% nel Lazio contro l’8,2% a livello nazionale) e l’assistenza agli anziani (il 17,6% contro il 9,8% medio). Le voci di spesa più diffuse nel Lazio sono orientate all’assistenza ad anziani e bambini e al mantenimento dei Neet, i giovani che non studiano e non lavorano, con costi che gravano sulle famiglie a fronte di una copertura pubblica carente.

I consumi al tempo della crisi

La congiuntura economica sfavorevole influenza le scelte e i comportamenti delle famiglie. La strategia prevalente per fronteggiare le difficoltà è la razionalizzazione, con la riduzione di sprechi ed eccessi, adottata dall’82,5% delle famiglie del Lazio. Molte sono le famiglie orientate alla ricerca di opportunità di risparmio e alla riduzione dei consumi in vari ambiti, da quello alimentare (il 64,5% nel Lazio e il 72,8% in Italia), alla convivialità del ristorante (il 53,2% nel Lazio e il 58,7% in Italia), fino agli spostamenti e ai mezzi di trasporto (il 48,6% nel Lazio e il 59,6% in Italia).

Le preoccupazioni maggiori: il futuro dei figli

La paura più diffusa nel Lazio è il rischio di ammalarsi (per il 37,7% delle famiglie). Ma il timore più avvertito dalle famiglie della regione rispetto al resto del Paese è il futuro dei figli (per il 32,3% contro il 26,6% registrato a livello nazionale), poi la non autosufficienza (27%), la situazione economica (23,4%) e il lavoro (22,4%).

Con quali strumenti affrontare i bisogni socio-assistenziali di domani?

Il 44,7% delle famiglie nel Lazio si aspetta da parte del soggetto pubblico una copertura sufficiente (si tratta di chi non ha alternative alla copertura pubblica per ragioni economiche), il 46,1% integrerà i servizi pubblici con quelli privati pagando di tasca propria, il 9,2% (contro il 9,8% a livello nazionale) considera il ricorso a strumenti assicurativi e finanziari privati. Di questi ultimi, il 7,1% (il 5,7% nella media Italia) propende per un modello di welfare mix, integrando la copertura pubblica con le prestazioni finanziate tramite mutua o assicurazione, e il 2,1% (il 4,1% a livello nazionale) pensa di affidarasi completamente al privato grazie a strumenti assicurativi. Emerge così una consapevolezza diffusa che la copertura pubblica necessiterà di integrazioni private. Ma la cultura dell’autoregolazione e dell’out of pocket rimane ancora largamente dominante, con un mercato delle prestazioni assistenziali fortemente disomogeneo.

«La fotografia restituita dalla ricerca presentata quest’oggi ci conduce a prendere sempre più consapevolezza del fatto che gli attuali assetti di welfare non sono più in grado di rispondere ai nuovi bisogni socio-assistenziali della famiglie italiane, nonché ai cambiamenti strutturali dell’economia, ai trend demografici e al nuovo mercato del lavoro», ha detto Pierluigi Stefanini, Presidente di Unipol. «Il progetto “Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali”, che quest’anno giunge alla seconda annualità, si pone l’obiettivo di riflettere in maniera permanente e di concerto con tutti i soggetti impegnati nel settore sulle modalità attraverso le quali rendere il sistema del welfare più efficiente, dunque strumento di sviluppo economico, occupazionale e di inclusione sociale», ha concluso Stefanini.

«Preoccupa quanto emerge da questa ricerca. Preoccupa e allarma perchè vi si legge un progressivo sgretolamento nel corso degli anni del ruolo del pubblico anche nel nostro territorio, falcidiato da una recessione economica senza precedenti», ha detto Claudio Di Berardino, Segretario Generale della Cgil Roma e Lazio. «Un vuoto di scelte e di strategie di cui si avverte sempre più la mancanza e che dovrebbero essere invece la base su cui costruire non solo soluzioni ai tanti drammi aperti dalla crisi, ma un nuovo modello di welfare, capace di includere e dare risposte ai disagi vissuti quotidianamente dalle famiglie. Le amministrazioni comunale e regionale devono tornare a valorizzare il servizio pubblico sociale e sanitario, a ragionare di eliminazione degli sprechi ma anche di una nuova politica della salute», ha concluso Di Berardino.